La classificazione delle zone sismiche italiane è fondamentale per la sicurezza delle strutture, in particolare quelle industriali.
In questo articolo, esploreremo la mappa delle zone sismiche in Italia, la zonizzazione sismica e i rischi sismici che le aziende devono affrontare.
La sicurezza sismica delle strutture produttive
La classificazione delle zone sismiche in Italia e la sua evoluzione ha portato alla definizione di mappe sismiche che sono state aggiornate nel tempo, estendendo via via le aree classificate come rischiose per meglio consentire una corretta opera di prevenzione diffusa su tutta la penisola.
L’elevata frequenza dei terremoti nel nostro Paese che spesso si traduce in danni a edifici e persone con gravi conseguenze sull’economia dei territori. Quando poi, a essere colpiti maggiormente sono i distretti industriali, la chiusura anche di una sola impresa può avere ripercussioni a cascata sull’intera filiera produttiva. Spesso le aree industriali più sviluppate su cui si sviluppano filiere strategiche che coinvolgono numerose aziende si trovano in zone ad alto rischio sismico. Proprio per queste ragioni è necessario migliorare la sicurezza sismica delle attività produttive: non solo a tutela delle persone, ma anche a protezione del patrimonio collettivo.
L’attuale classificazione sismica del territorio italiano
Dal 2008, con l’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche delle Costruzioni, la classificazione in 4 zone di rischio sismico resta valida solo a fini amministrativi, mentre per definire la specifica pericolosità sismica di un sito viene introdotta una nuova metodologia.
Per definire la pericolosità sismica e in definitiva le adeguate azioni di progetto per le nuove costruzioni e per gli interventi sulle costruzioni esistenti, il territorio è stato suddiviso mediante una maglia di punti con passo di 10 km. Per ogni punto sono forniti i parametri necessari alla definizione delle azioni con cui dimensionare/verificare le strutture.
L’esposizione al rischio sismico dei distretti produttivi e le priorità di prevenzione su base territoriale
L’esposizione al rischio sismico delle attività industriali è strettamente correlata al numero di aziende presenti sul territorio. Maggiore è la presenza di addetti, più avanzate sono le tecnologie impiegate e più elevata è la loro esposizione, sia per l’alta concentrazione di personale che di impianti e macchinari dal costo elevato.
Per avere un’idea immediata dell’esposizione al rischio delle attività produttiva e di conseguenza delle attività di prevenzione da dispiegare con massima tempestività, si potrebbe far coincidere la mappa di pericolosità sismica con la distribuzione delle imprese sul territorio italiano.
Da qui derivano diverse osservazioni. Nel Nord Italia, classificato come sismico in epoca più recente, il patrimonio di edilizia industriale è meno adeguato in termini di prescrizioni sismiche. L’esposizione al rischio risulta poi maggiore in una fascia che dal nord della costa adriatica si sviluppa lungo l’appennino emiliano, coinvolgendo il nord della Lombardia e sviluppandosi nel Triveneto.
Poiché il rischio sismico si definisce come il prodotto tra pericolosità sismica, vulnerabilità ed esposizione, risulta evidente che la zona Nord appenninica assieme alla zona Nord-est del territorio italiano sono le aree in cui tale rischio per l’edificato industriale è maggiore.
Questo risultato è ad oggi poco noto e soprattutto poco divulgato, creando una condizione di scarsa consapevolezza dell’elevato rischio in cui si trovano importanti distretti industriali.
Prevenire i danni da terremoto, da dove partire
Per prevenire i danni da terremoto è necessario, prima di tutto, rendersi conto del livello di rischio che si corre sul territorio sul quale si opera o si risiede. L’effetto più o meno distruttivo di un evento sismico, dipende infatti dal grado di rischio di un sito che si valuta in base a tre parametri: la pericolosità sismica del territorio, la vulnerabilità della struttura e la sua esposizione.
- Pericolosità sismica dell’area: grazie agli aggiornamenti che si sono succeduti nel tempo, le mappe di classificazione sismica hanno assunto un livello di dettaglio sempre maggiore. Acquisire quindi attraverso questo strumento la consapevolezza del grado di sismicità dell’area su cui è edificata una struttura, è il primo passo per intraprendere attività di prevenzione.
- Vulnerabilità della struttura: è strettamente legata alle specifiche caratteristiche del costruito che, a sua volta, dipendono dalle conoscenze tecniche, dalla normativa vigente e dalla classificazione del sito al momento dell’edificazione.
- Esposizione: nel caso di siti industriali, dipende dalla densità di aziende presenti sul territorio, dal loro contenuto in termini di beni e tecnologie e dalla presenza di forza lavoro.
In relazione a queste considerazioni, risulta interessante osservare come è cambiata nel tempo la classificazione sismica del territorio italiano confrontando le mappe di pericolosità sismica con la distribuzione delle zone a maggiore indice di industrializzazione. Questo confronto rende evidenti le aree in cui dovrebbe essere intrapresa un’azione di messa in sicurezza sismica con maggiore priorità, in quanto a maggior rischio.
Evoluzione nel tempo della classificazione sismica
La classificazione sismica del territorio italiano si è sviluppata in relazione agli eventi sismici che si sono via via succeduti nell’arco dell’ultimo secolo. L’Italia è un paese che si trova in una delle zone sismiche più attive al mondo. La sua posizione geografica, situata dove si incontrano le placche africana ed europea, la rende particolarmente suscettibile ai terremoti. Si comincia dal 1884, quando in seguito al terremoto che colpì l’isola di Ischia fu emanato il primo Regio Decreto e si continua con questo strumento sino al 1926. I Regi Decreti costituirono le prime basi normative per regolamentare l’edificazione sismica dell’Italia unita.
A partire dal 1908, viene elaborata la mappa sismica dell’Italia: una mappa storica che evidenziava i territori colpiti dai forti sismi. Non venivano evidenziate le zone che nei secoli passati erano state coinvolte da terremoti e che statisticamente avrebbero avuto una maggiore probabilità di essere nuovamente interessate.
Nel 1927 vengono definite per la prima volta delle zone differenziate per intensità sismica, distinguendo tra comuni classificati, ai fini sismici, quelli di 1° e di 2° categoria. Un salto di qualità a livello normativo avviene nel 1974 con la legge 64 del 2 febbraio che costituisce la base della legislazione antisismica attualmente vigente, basata su successivi decreti ministeriali. Nonostante l’aggiornamento normativo, la classificazione sismica ha continuato ad inseguire i terremoti. L’esempio più significativo fa riferimento al terremoto del Friuli del 1976, alla base dell’introduzione della classificazione sismica di gran parte della regione Friuli-Venezia Giulia.
La mappa delle zone sismiche in Italia
In Italia nei primi anni ’80 rappresentava ancora territori già colpiti da terremoto, ai quali venivano aggiunti quelli di: Marche (1932), Irpinia (1930-62-80), Alpago (1936), Belice 1968.
Solo nel 2003 tutto il territorio italiano viene classificato come sismico, distinguendo 4 zone a differente intensità dell’azione sismica attesa: dalla zona 1, con elevata probabilità di terremoti di forte intensità, alla zona 4 con probabilità di terremoti di forte intensità molto bassa.
L’evoluzione della classificazione sismica del territorio italiano è talmente articolata che RELUIS (Consorzio della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica e Strutturale) ha sviluppato un software gratuito, ECS-it che permette la visualizzazione dell’evoluzione della classificazione sismica del territorio nazionale, consentendo l’interrogazione per singolo comune.